GIORGIO LIGUORI VIVEVA PER UN IDEALE VERO: FARE DEL BENE

di Giuseppe Alfano
(operatore dell’informazione, già iscritto all’Unione Cattolica della Stampa Italiana - UCSI)

Risalire a ritroso, nel tempo, per ricordare la figura del dottore Giorgio Liguori, per me è cosa facile. Chiudo gli occhi e ricordo la Sua forma fisica, il Suo sguardo, la Sua gentilezza, la Sua disponibilità, il Suo sorriso.
Ricorrono gli anni Sessanta. Avevo da poco conseguito il sospirato diploma di Geometra ed ero alla ricerca di un posto di lavoro. Un posto fisso. L’Università, per le mie condizioni economiche familiari, non era alla mia portata. Intanto, il bisogno di rendermi economicamente autonomo, mi spinse ad abbracciare da subito la libera professione, in società con un amico/collega, Enzo Gerundino, anch’egli passato, per un male incurabile, prematuramente ad altra vita.
Un inizio difficile che via via divenne accettabile sino a quando non ho conosciuto  il dottore Giorgio Liguori. Era così che noi giovani, con estremo rispetto e quasi con riverenza, lo chiamavamo: il dottore Giorgio Liguori. Oggi il mio nipotino di 11 anni, nonostante la mia contrarietà e quella dei suoi genitori, chiama il suo preside per nome: Carmelo. Erano altri tempi, senza dubbio migliori rispetto ad oggi. Cominciai a frequentarlo apprezzandone il suo grande sapere e soprattutto la sua grande umanità e la voglia di fare del bene. E’ ancora vivo il ricordo di quand’era Assessore al Personale alla Provincia di Cosenza dove trovarono occupazione diverse persone, non solo di Montegiordano ma anche dei paesi vicini.
Ero solito, con il mio collega Enzo, accompagnarlo nei frequenti viaggi che faceva per recarsi a Cosenza ai vari incontri politici. La Giulietta Alfa Romeo, la sua macchina, era sempre pulitissima sia all’interno che all’esterno. I tappetini erano sempre coperti da giornali e prima di entrare in macchina, solitamente  facevamo sentire il rumore della suola delle scarpe che batteva per terra per far cadere il terriccio che vi era attaccato. Lui annuiva con un accattivante sorriso che voleva significare “bene così”.
A fianco della leva del cambio, vi erano sempre dei bigliettini di carta stretti da un fermaglio, rigorosamente ordinati e sui quali prendeva appunti delle faccende che doveva disbrigare a Cosenza oppure sui risultati ottenuti dai vari uffici a cui si era rivolto. Ricordo una scena bellissima. Mentre percorrevamo in macchina il lungomare di Montegiordano, venne fermato da un suo amico che gli chiese se aveva provveduto ad evadere la sua pratica. Con sicurezza disse: “Compà, tutto apposto” e continuammo il viaggio. Per strada mi confidò che si era dimenticato e mi disse: Peppì, la prima cosa che dobbiamo fare stamattina è vedere a che punto sta la pratica del mio compare: Ricordamelo. Giunti a Cosenza subito si recò all’Inps per portare a compimento l’incarico ricevuto. Era felice quando prendendo in mano uno di quei biglietti diceva alla persona interessata: “domani mattina alle sette devi andare a lavorare da….”. Di questi momenti ce ne furono veramente tanti. Fece del bene a tantissime famiglie, compresa la mia. Era sempre disponibile, a qualsiasi ora ed in qualsiasi giorno. Con lui ho imparato molte cose. Era un uomo buono che viveva per un ideale vero: fare del bene. Alla fin fine, la sua posizione economica era tanta solida da potersene anche infischiare degli altri, ma, evidentemente la Sua missione era tutt’altra cosa: aiutare il prossimo. Era questo il suo compito che Qualcuno dall’Alto gli aveva assegnato e che lui portava a compimento diligentemente.
Ricordo come se fosse ora le numerose battaglie politiche portate avanti per il “Suo” Alto Jonio, considerato da tutti la cenerentola della Calabria e che lui voleva elevarlo a tutti i costi.
Il suo pallino erano le infrastrutture, la Sanità e ancor di più l’occupazione giovanile. Creò il Consorzio di Bonifica di Trebisacce, paragonato da tutti l’industria Fiat del Sud, che diede posti di lavoro a circa mille persone. Sostenne la costruzione dell’ospedale di Trebisacce e avanzò la proposta di creare un “centro di maternità” su Oriolo a cui avrebbero fatto capo tutti i Comuni dell’entroterra.
Un impietoso destino lo ha portato via, prima di tutto, dalla sua famiglia e poi dalla scena  politica.
Un impietoso destino non gli ha consentito di portate a compimento i vari progetti riguardanti il “Suo” Alto Jonio, segnati anche su quei foglietti di carta che con tanto ordine custodiva gelosamente. E’ questo il mio ricordo, un ricordo che mi sta accompagnando in questi miei anni e che custodisco gelosamente.
Peppino Alfano

(Trebisacce, Autunno 2008)