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Giorgio Liguori tra i suoi amici-sostenitori (Montegiordano, Elezioni provinciali, novembre 1960)
Biografia di un medico e politico...
Giorgio Liguori, un medico prestato alla politica per il riscatto sociale degli “ultimi” della sua terra.
Il primo consigliere regionale della Calabria scomparso nell’adempimento del mandato.
Biografia curata dal figlio Riccardo
Un “piccolo” leader democristiano…
«Il monumento ‘un si fa nemmeno al proprio babbo!»
«La storia della Democrazia cristiana è stata fatta da grandi statisti
e politici, generati dall’Italia in sessantenni di democrazia
repubblicana. Una storia che ormai appartiene al passato, fatta anche
da tanti “piccoli” leader locali, che con le loro idee e azioni hanno
trasmesso alla gente quei valori caratterizzanti la politica
cattolico-democratica popolare messa in pratica, con autentico spirito
di servizio, nell’amministrare la cosa pubblica».
(Dall’intervento dell’on. Gerardo Bianco, già segretario nazionale del
Partito Popolare italiano, all’incontro politico-culturale “I valori
dei cattolici per una politica nuova”, Perugia, 5 dicembre 2007).Tra i
«“piccoli” leader locali» democristiani può essere annoverato anche
Giorgio Liguori, come il lettore può appurare da questa sua biografia,
il cui unico obiettivo è quello di tramandare ai posteri il ricordo di
un uomo che, con tutti i suoi limiti, è riuscito nella sua breve
esistenza a rendersi utile per il prossimo, fino a sacrificare la
propria vita. Sacrificio ricordato ancora oggi da molti e ciò, nel
nostro mondo sempre più individualista, non è proprio un fatto di poco
conto. Questa biografia, anche se potrebbe peccare di pietas filiare,
traccia la vita di un uomo attraverso un’attenta e, al tempo stesso,
obiettiva ricerca-consultazione di diverse fonti d’archivio e
bibliografiche. In particolare, lo scritto è frutto-sintesi di appunti
e riflessioni, di discorsi politici ed interventi istituzionali, di
articoli di quotidiani e periodici, di pubblicazioni e di documenti
politico-amministrativi, che riguardano Giorgio Liguori ed il suo
periodo. Inoltre, sono state raccolte le testimonianze di diversi suoi
contemporanei, che, per la verità, quelle riportate nel testo sono
minime perché spesso coincidenti con quanto rilevato nelle stesse fonti
consultate.Con questo scritto si percorre non solo la vita di un uomo,
ma quella di buona parte del contesto sociale, politico, economico,
culturale e professionale che lo circonda: è la storia di un’epoca
distante quasi mezzo secolo da noi e il tempo, per non pochi aspetti, è
come se si fosse fermato… . Sono diversi gli episodi che caratterizzano
la storia, ancora oggi molto attuale, di Giorgio Liguori, del suo Alto
Ionio calabrese e della sua regione.
L’uomo deve essere alla ricerca non della propria leggenda, ma della
propria storia, anche se essa dovesse recargli sofferenza. Come non
condividere quel noto concetto che ci ricorda che «un presente, per
capire se stesso, ha sempre bisogno di conoscere la coscienza critica
del proprio passato». E ancora come non far proprio il pensiero per
eccellenza: «non sapere è un male, ma non voler sapere è una
catastrofe». Indro Montanelli, uno dei più grandi giornalisti italiani
del Novecento, raccomandava, in giornalismo - figuriamoci in una
biografia - «il monumento ‘un si fa nemmeno al proprio babbo!».
(Da: Giorgio Torelli, Il Padreterno e Montanelli, Milano, 2006).
Al lettore il giudizio!
R. L.
Cercando di mettere in pratica Il messaggio sociale
di San Francesco di Paola: «Il potere va inteso, non come privilegio,
bensì come duro esercizio di servizio nell’interesse del popolo»
Quattro settimane prima della “Marcia su Roma”, il 1° ottobre 1922,
nasceva a Montegiordano, in provincia di Cosenza, Giorgio Liguori,
primogenito di quattro figli di una «famiglia modesta ma laboriosa»
trasferitasi, all’inizio del secolo scorso, dal comune limitrofo di
Oriolo Calabro. Non si sa se nelle sue vene scorresse un po’ del sangue
di Giovanni Nicola, Camillo e Domenico Liguori, padre e figli vissuti
nel XVII secolo, agguerriti “capipopolo” e “agitatoti politici” di
Oriolo contro il feudatario, il marchese don Alessandro Pignone del
Carretto, mentre Tomaso Aniello, detto Masaniello, guidava la rivolta
del popolo partenopeo contro l’eccessivo fiscalismo imposto dal governo
della Monarchia spagnola (luglio 1647). Una cosa è certa: Giorgio
Liguori, fervente cristiano, ebbe in gioventù idee politiche
considerate - in quel difficilissimo momento storico per la democrazia
- “estremiste di sinistra”. Maturando intellettualmente negli anni
della ricostruzione post-bellica, comprese l’urgenza di impegnarsi, nel
suo piccolo, in azioni politiche concrete, piuttosto che rincorrere
“utopie”, per favorire il riscatto sociale della gente della sua terra.
Sensibilità dovuta non solo alla sua professione di medico condotto ed
ufficiale sanitario, che lo portava quotidianamente a contatto diretto
con la popolazione, in particolare con quella più bisognosa, alla quale
si rivolgeva come amico e confidente, condividendone le ansie, le
passioni e le speranze di poter un giorno migliorare le condizioni di
vita. Dai suoi genitori, Pietro e Maria Giuseppa Lamanna, «ricevette un
tipo di educazione volto a reperire quello spirito di adattamento alle
situazioni ambientali, necessario per affrontare in modo autonomo le
asperità della vita».
Il “credo” del suo impegno sociale e politico, a favore del ceto meno
abbiente, può essere colto in un suo scritto del 1964: «Quando colui
che cura il corpo si avvicina al sofferente con spirito di umana
solidarietà, allora le confidenze sgorgano spontanee e si penetra,
naturalmente nell’animo degli umili, dei più poveri e sprovveduti. In
essi ho riscontrato un identico anelito, una stessa aspirazione, un
comune denominatore: l’ansia di una più equa giustizia sociale che
sollevasse le penose condizioni di vita in cui si dibatteva la vita del
popolo minuto. Ed è stato appunto lo spettacolo quotidiano delle
difficoltà materiali e morali che angustiavano la povera gente e il
desiderio vivissimo di alleviarne le sofferenze, che mi ha indotto a
dedicare parte del mio tempo alla politica. La politica intesa, non
come strumento e piedistallo per appagare malsane ambizioni, ma come
mezzo idoneo a portare nei consessi della nostra vita pubblica
l’autentica voce del popolo, l’istanza dei poveri che chiedono la
rimozione delle più gravi difficoltà materiali per creare un più sereno
e disteso ambiente familiare e conseguire, nel contempo, una più umana
elevazione morale e civile».
Non era un caso che tra i libri a portata di mano nel suo studio di
Montegiordano ci fosse Il messaggio sociale di San Francesco di Paola,
scritto dallo studioso e senatore democristiano Giuseppe Mario
Militerni nel 1966, in occasione del 550° anniversario della nascita
del Santo patrono della Calabria. Un’opera che mette in risalto il
ruolo di San Francesco di Paola quale «grande riformatore sociale sia
per quanto concerne i suoi rapporti col popolo sia per quanto concerne
i suoi rapporti con quella che potremmo chiamare la classe dirigente di
quel tempo» (XV secolo). In particolare, fu «riformatore sociale»
nell’«ammonire» quest’ultima: «il potere va inteso, non come
privilegio, bensì come duro esercizio di servizio nell’interesse del
popolo». Militerni ha attualizzato questo messaggio sociale nel
definire «Francesco di Paola, Santo di Tutti, Voce universale d’amore e
di giustizia, Cuore “senza frontiere”, che, dalla Calabria, indica ai
Calabresi ed a tutte le creature gli orizzonti sempre nuovi e perenni
della redenzione personale e sociale cristiana, ne è il protagonista
sommo. E’ la storia drammatica, romanzesca ma reale, spesso tragica,
della società calabrese, delle popolazioni di Calabria e del
Mezzogiorno costrette a vivere ai margini della vita, nelle tenebre
dell’abbandono e dell’avvilimento, mentre in altre contrade d’Italia si
accendevano e risplendevano le prime luci ed i fulgori del
Rinascimento». Liguori ed altri uomini impegnati in politica si
prodigarono a fare uscire la società calabrese della seconda metà del
Novecento proprio da quelle «tenebre» che l’avvolgevano da secoli.
Il medico e politico montegiordanese viveva in un comune che contava
più di tremila anime (oggi oltre mille in meno) dell’“Alto Ionio”
calabrese o cosentino (fu lui stesso tra i primi a denominarlo così),
l’estremo lembo di Calabria che si integra con l’entroterra lucano, tra
le antiche colonie della Magna Grecia, Sybaris e Metapontum e le
omonime pianure e a ridosso della catena appenninica del Pollino. Una
terra che cinquanta anni fa era abitata da quasi 50 mila persone (oggi
10 mila in meno), ricca di risorse ambientali e naturali, ma povera
perché scarsamente sostenuta nella valorizzazione delle stesse,
abbandonata dai politici e dagli uomini di cultura, al punto di essere
definita da alcuni storici «solitaria contrada del Sud» e «terra di
nessuno», come la chiamava lo stesso Liguori.
Per il suo costante e infaticabile impegno nel contribuire a creare
condizioni di vita migliore in un contesto socio-culturale di
arretratezza e di miseria, attraverso il doveroso
intervento-coinvolgimento delle istituzioni civili locali e nazionali,
Liguori fu visto da non pochi suoi estimatori come «un vero e proprio
missionario, nella vita di uomo e nell’attività politica». Con la sua
prematura scomparsa morì anche la speranza di molta gente, che vedeva
in Liguori un grande sostegno nel costruire giorno dopo giorno un
futuro dignitoso per i propri figli.
Era un uomo semplice, alla mano, come tanti, con pregi e difetti. Il
suo rapporto diretto con la gente lo caratterizzava non poco nel farlo
diventare un uomo speciale nella sua semplicità. Ciò può essere colto
nel ricordo di un suo, all’epoca giovane, amico e collaboratore,
Giuseppe Alfano.
«Risalire a ritroso, nel tempo, per ricordare la figura del dottore
Giorgio Liguori, per me è cosa facile. Chiudo gli occhi e ricordo la
sua forma fisica, il suo sguardo, la sua gentilezza, la sua
disponibilità, il suo sorriso. Ricorrono gli anni Sessanta…, cominciai
a frequentarlo apprezzandone il suo grande sapere e soprattutto la sua
grande umanità e la voglia di fare del bene… . Ero solito accompagnarlo
nei frequenti viaggi che faceva per recarsi a Cosenza ai vari incontri
politici. Nella sua Giulietta Alfa Romeo…, a fianco della leva del
cambio, vi erano sempre dei bigliettini di carta stretti da un
fermaglio, rigorosamente ordinati e sui quali prendeva appunti delle
faccende che doveva disbrigare a Cosenza oppure sui risultati ottenuti
dai vari uffici a cui si era rivolto. Ricordo una scena bellissima.
Mentre percorrevamo in macchina il lungomare di Montegiordano, venne
fermato da un suo amico che gli chiese se aveva provveduto ad evadere
la sua pratica. Con sicurezza disse: “Compà, tutto apposto” e
continuammo il viaggio. Per strada mi confidò che si era dimenticato e
mi disse: Peppì, la prima cosa che dobbiamo fare stamattina è vedere a
che punto sta la pratica del mio compare: ricordamelo. Giunti a Cosenza
subito si recò all’Inps per portare a compimento l’incarico ricevuto.
Era felice quando prendendo in mano uno di quei biglietti diceva alla
persona interessata: “domani mattina alle sette devi andare a lavorare
da….”. Di questi momenti ce ne furono veramente tanti. Fece del bene a
tantissime famiglie, compresa la mia. Era sempre disponibile, a
qualsiasi ora ed in qualsiasi giorno. Con lui ho imparato molte cose.
Era un uomo buono che viveva per un ideale vero: fare del bene. Alla
fin fine, la sua posizione economica era tanta solida da potersene
anche infischiare degli altri, ma, evidentemente la sua missione era
tutt’altra cosa: aiutare il prossimo. Era questo il suo compito che
Qualcuno dall’Alto gli aveva assegnato e che lui portava a compimento
diligentemente… . Ricordo come se fosse ora le numerose battaglie
politiche portate avanti per il “suo” Alto Jonio, considerato da tutti
la cenerentola della Calabria e che lui voleva elevarlo a tutti i
costi. Il suo pallino erano le infrastrutture, la Sanità e ancor di più
l’occupazione giovanile. Creò il Consorzio di Bonifica di Trebisacce,
paragonato da tutti l’industria Fiat del Sud, che diede posti di lavoro
a circa mille persone. Sostenne la costruzione dell’ospedale di
Trebisacce e avanzò la proposta di creare un “centro di maternità” su
Oriolo a cui avrebbero fatto capo tutti i Comuni dell’entroterra. Un
impietoso destino lo ha portato via, prima di tutto, dalla sua famiglia
e poi dalla scena politica. Un impietoso destino non gli ha consentito
di portate a compimento i vari progetti riguardanti il “suo” Alto
Jonio, segnati anche su quei foglietti di carta che con tanto ordine
custodiva gelosamente».
Le “ragioni personali” per le quali scese nell’“arena” della politica
le confidò ad un altro suo amico e collaboratore, Vincenzo Ferra, che,
in sintesi, così le ricorda: «la sua professione di medico consentì
alla sua famiglia dalle umili origini di raggiungere una posizione
sociale di tutto rispetto, quindi, poteva vivere comodamente, senza
tanti grattacapi. Invece, scelse di impegnarsi in politica, che non lo
rese ricco materialmente, perché la politica che intendeva era
puramente servizio, dove l’unica sua “ricchezza” era quella di sapere
di riuscire, anche se non sempre, a fare del bene a tante umili e
indifese famiglie. Aiutarle attraverso la politica lo faceva sentire
“importante” per il prossimo, soprattutto, lo riscattava socialmente
perché si sentiva utile non solo per l’emancipazione della propria
famiglia, ma per quella di tante altre. Era la stessa società a trarne
vantaggio se più famiglie miglioravano le proprie condizioni. La
Regione, che stava per nascere, sarebbe stata, secondo lui, una grande
opportunità per le nostre famiglie, per la nostra Calabria, almeno lo
sperava».
Significativo quanto disse Liguori agli elettori sull’istituenda
Regione: «… la faremo bene la Regione se riusciremo ad amministrarla
con rigore, limitandone al massimo le spese, organizzando bene i suoi
settori operativi, i suoi uffici, avvalendoci della presenza di
collaboratori qualificati e volenterosi. Non un baraccone, insomma, ma
uno strumento di progresso e di democrazia (erano tempi lontani da La
Casta, Così i politici italiani sono diventati intoccabili, il
bestseller di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella pubblicato da Rizzoli
nel 2007, n.d.a.). In questo senso soltanto possiamo dimostrare di
essere una nuova e moderna classe dirigente, operando una radicale
rottura con certe incrostazioni del passato. Farla bene la Regione,
ecco un impegno irrinunciabile. Vogliamo che lo Stato sia davvero
vicino ai cittadini, per comprenderne meglio i problemi e le esigenze.
Vogliamo che ciascuno di voi si senta parte integrante di questa nuova
realtà che nascerà dal voto del 7 giugno. La Regione non come un
fortilizio inaccessibile, o come una grande campana di vetro o un luogo
dentro il quale nessuno riesce a vedere cosa succede, ma una casa
aperta, con le porte e le finestre spalancate, una casa di tutti e per
tutti. Il decentramento non significa soltanto trasferimento meccanico
delle competenze dello Stato centrale alle Regioni. Si tratterebbe, in
questo caso, di un puro e semplice sdoppiamento di uffici, forse anche
di un nuovo appesantimento della nostra macchina burocratica. Il
decentramento deve significare soprattutto l’inserimento del cittadino
nella realtà dello Stato, nella vita dello Stato, ed in questo senso ha
molta importanza, appunto, la funzione dei consiglieri regionali,
perché saranno essi il vostro tramite, il vostro strumento di
collegamento. Alla Regione uomini disposti a lavorare, ma anche
disposti a realizzare questo contatto permanente tra il cittadino e lo
Stato, che non è sempre o soltanto un contatto burocratico, spesso anzi
è un contatto umano, ed è questo, anzi, che rende più viva e più
palpitante la nostra vita democratica nelle future Regioni».
Liguori stabilì un triste “primato”, quello di essere il primo
consigliere regionale della Calabria a perdere la vita nell’adempimento
del suo mandato istituzionale. Morì appena sei mesi dall’inizio della
prima legislatura dei Consigli regionali a Statuto ordinario eletti il
7 giugno 1970. Furono elezioni di portata storica per il nostro Paese,
perché con esse trovò attuazione una parte importante della
Costituzione italiana, quella del decentramento del potere legislativo
e di governo affidato alle Regioni. Liguori detiene un altro “primato”,
quello di essere a tutt’oggi l’unico cattolico democratico dell’Alto
Ionio eletto al Consiglio regionale della Calabria.
Perì in un tragico incidente sull’autostrada Salerno-Reggio, il 21
dicembre 1970, mentre si stava recando alla seduta del Consiglio
regionale, l’ultima prima delle festività natalizie. Il suo corpo venne
trovato vicino alla sua auto (finita in un profondo burrone sotto un
viadotto) dopo più di 24 ore dalla denuncia della scomparsa da parte
della famiglia, che ha nutrito sempre dei dubbi sulla dinamica
dell’incidente.
Sommario dei capitoli della biografia in fase di stesura
1. Gli anni della formazione e i primi impegni in politica
2. Le opere realizzate con tenacia azione politica per avviare la crescita socio-ecomonica e culturale della sua terra
3. Strenuo sostenitore della politica di centro sinistra e grande mediatore nella Dc cosentina
4. I primi e gli ultimi più importanti appuntamenti con il suo elettorato:
le politiche del ’68 e le regionali del ‘70
5. Famiglia, fede, istruzione e professione: i suoi quattro valori irrinunciabili
6. Sei mesi da consigliere regionale quando a Reggio Calabria si moriva per strada
7.
Aveva fretta di realizzare condizioni di vita dignitose per le genti di
Calabria: la morte improvvisa stroncò la sua corsa… e in molti
parlarono di “Anno zero per l’Alto Ionio”
8. Una memoria viva nel tempo… |