Montegiordano

Il suggestivo panorama di Rocca Imperiale, riprodotto all'Italia in miniatura di Rimini

L'Alto Ionio calabrese in breve

1. Cenni geografici e sociali
2. Cenni religiosi
3. Cenni storici
4. Andamento demografico

3. Cenni storici

Tutti i comuni dell’Alto Ionio sono ricchi di storia e di antiche tradizioni. Il riferimento storico alla civiltà greca è d’obbligo quando si parla dell’Alto Ionio, sebbene ritrovamenti archeologici documentano la presenza di una civiltà avanzata, con ordinamento sociale, ben precedente all’arrivo dei greci. A testimoniarlo sono le necropoli di Amendolara e Francavilla Marittima, risalenti all’Età del Ferro, e l’area archeologica di Trebisacce i cui reperti risalgono tra l’Età del Bronzo Medio e quella del Ferro.
Significativa è l’area archeologica di Francavilla con il «“Timpone della Motta”, una collina sulla quale è stato portato alla luce un complesso santuariale dedicato ad Atena e gli altipiani che circondano il “Timpone” stesso, in cui sono stati ritrovati resti di abitazioni indigene e case greche del VI a.C.; in particolare l’ampio altopiano di “Macchiabate”, sede di una necropoli indigena con sepolture che coprono un arco cronologico che va dall’850 al 530 a.C., senza subire una cesura evidente al momento della fondazione di Sibari (720 a.C.ca.).
La colonizzazione greca ebbe inizio intorno alla fine del VIII secolo a.C., quando i coloni greci, incoraggiati dalla possibilità di sfruttare dal punto di vista agricolo la parte costiera e pianeggiante, approdarono sulle coste ioniche della Penisola italiana. Fu l’inizio di una civiltà splendida, testimoniata anche dalla nascita della vicina città di Sybaris, divenuta una sorta di capitale del mondo mediterraneo nei secoli VII e VI a.C., importante centro commerciale e culturale dal quale l’intera regione (Alto Ionio incluso), un tempo terra dei popoli Bruzio e Lucano, si inseriva nelle rotte commerciali che andavano dall’Asia Minore all’Etruria. Da qui in poi la storia dell’ Alto Ionio è un susseguirsi di splendori e decadenze.

1:Francavilla Marittima, bronzetto di guerriero con armatura da oplita (VI sec. a.C.)

2:Montegiordano, fase di scavo dell'edificio risalente al 350-280 a.C., da: Laviola V., I bei tempi andati. Aspetti della civiltà contadina dell’Alto Jonio cosentino (1993)

3:Lekythos attica a figure nere (500 a.C.), da: Kleibrink Maaskant M., Dalla lana all'acqua, culto e identità nel santuario di Atena a Lagaria, Francavilla Marittima (2003)

Meno fortunata fu la colonizzazione romana, che con essa iniziò lo sfruttamento selvaggio dei boschi del Pollino e della Sila, compromettendo l’equilibrio tra terra e acqua. Vaste zone di terreno si trasformarono in acquitrini anche a causa dello straripamento delle “fiumare”, i cui letti si alzarono a causa dei detriti. Si iniziò a diffondere la malaria con la zanzara anofele, che trovò il suo habitat nelle zone paludose; una malattia che non si riuscì a debellare per secoli facendo migliaia di vittime. Le popolazioni furono costrette ad abbandonare le campagne e a rifugiarsi nelle villae romane, che erano dei grandi insediamenti rurali completamente autosufficienti, ubicati lungo le principali vie di comunicazione. Numerosi reperti archeologici di queste villae sono stati rinvenuti lungo l’antica via consolare Traianea, nei pressi di Amendolara, che in epoca romana rappresentava la “Statio ad Vicesinum” (la stazione di riposo e di posta della via consolare) e ancora lungo la costa di Montegiordano, in contrada “Menzinaro”, dove nel 1980 fu scoperto un grande edificio a corte quadrata databile al 350-280 a.C. Con molta probabilità si tratta di una fattoria lucana ben organizzata con un’economia agricola e pastorale, che, stando ai ritrovamenti archeologici, doveva svolgere attività di filatura e tessitura della lana. Sempre dai reperti sembra che questo insediamento sia stato abbandonato all’improvviso nell’anno 279 a.C., perché venne a trovarsi sulla direttrice di marcia dell’esercito romano che si scontrò nella vicina Eraclea, l’odierna Policoro, in provincia di Matera, con l’esercito di Pirro, re dell’Epiro ed alleato dei lucani. Sempre nel territorio di Montegiordano alcuni studi avanzati, ma non ancora del tutto confermati, fanno presupporre che il filosofo e sommo matematico greco Pitagora (570-490 a.C.) vi abbia trovato la sua ultima dimora.
Con il disfacimento dell’Impero Romano e le invasioni barbariche anche le popolazioni dell’Alto Ionio dovettero affrontare un lungo periodo di oscurantismo, prostrazione e povertà. Il Medioevo con il suo latifondo esteso sulla gran parte delle terre coltivabili diede il suo colpo di grazia a quel che restava dello splendore di civiltà proveniente della Magna Grecia. Medioevo che si concretizzò con il radicamento di una società feudale giunta, anche se con qualche evoluzione, fin quasi ai nostri giorni.
Una parentesi di vitalità culturale l’Alto Ionio l’ebbe con la dominazione bizantina a partire dalla fine del VI secolo, le cui tracce, come abbiamo avuto modo già di sottolineare, si trovano in molti comuni dell’ Alto Ionio. Mentre una ripresa economica ci fu con l’arrivo dei Normanni, della cui architettura si hanno tracce nel Castello di Roseto Capo Spulico e nella Chiesa madre di Oriolo Calabro.
Nella prima metà del XIII secolo l’Alto Ionio conobbe nuovamente un periodo di benessere con la dominazione sveva, in particolare con l’imperatore Federico II (1194-1250), stupor mundi, meraviglia del mondo, per le sue eccezionali qualità di uomo politico, di condottiero e di intellettuale. Federico di Svevia cercò di trasformare lo Stato feudale in un moderno Stato burocratico, ridimensionando il potere dei feudatari. Testimonianze ben visibili giunte fino a noi della presenza federiciana sono, per eccellenza, i castelli di Rocca Imperiale e di Roseto Capo Spulico. Anche se sotto gli svevi l’economia restò di tipo rurale, registrò comunque un significativo incremento nel settore delle colture del cotone e del baco da seta. Questo non avviò un’industria locale di trasformazione, perché le materie prime venivano “esportate” al Nord.


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Il castello svevo di
Roseto Capo Spulico
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Panorama di Rocca Imperiale
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Il castello svevo di Rocca Imperiale

Con la fine della dominazione sveva e l’arrivo degli Angioini e poi degli Aragonesi, le condizioni sociali ed economiche delle popolazioni dell’Alto Ionio, come quelle di tutto il Meridione, peggiorarono nuovamente, soprattutto con il ritorno del sistema feudale, i cui baroni divennero molto potenti riducendo sempre più in miseria le popolazioni.
I soprusi dei feudatari vennero nuovamente limitati con l’avvento della Monarchia spagnola (secoli XVI-XVIII), che con il marchese e grande condottiero Pedro Toledo (1484-1553), nominato viceré di Napoli nel 1532 dall’imperatore Carlo V, furono adottate efficaci misure contro la prepotenza baronale. Se nella prima metà del XVI secolo i baroni furono riportati al «rango di sudditi della Corona», successivamente, proprio per questo i nobili, soggiornando per lungo tempo a Napoli, «all’ombra della Corte», si allontanarono dalle loro terre e le privarono di ogni riferimento a una vita civile costituita dalla dimora signorile, continuando ad imporre nuove tasse ed un’amministrazione della giustizia fondata sugli abusi. Il venir meno dei commerci e, quindi, anche delle piccole attività artigianali, portarono ad un nuovo impoverimento, a quella stagnazione dell’economia i cui effetti si sono protratti per tutto il XVII secolo e parte del XVIII.
La più importante famiglia aristocratica presente nell’Alto Ionio durante il periodo della Monarchia spagnola ed oltre fu quella dei principi Pignatelli. Tra le figure più insigne della famiglia (dal XV secolo) quella di Antonio, asceso al soglio pontificio col nome di Papa Innocenzo XII. Nel Quattrocento la famiglia dei Pignatelli si divise in due linee: l’una, proveniente da Stefano; l’altra, discendente da Palamede, che ha originato quattro rami: principi Aragona Pignatelli Cortes; principi Pignatelli di Strongoli; principi Pignatelli Aragona linea Fuentes; principi Pignatelli di Cerchiara. Questi ultimi vissero per molto tempo nel comune dell’Alto Ionio, particolarmente devoti alla Madonna del santuario delle “Armi”, dove vi sono vistose tracce della loro casata.
Altra famiglia aristocratica che ha segnato la storia di alcuni paesi dell’Alto Ionio, tra i quali Montegiordano e Alessandria del Carretto, fu quella dei marchesi Pignone del Carretto, signori del vasto feudo di Oriolo dalla metà del XVI secolo alla fine del XIX.
I feudi principali dell’Alto Ionio erano quelli di Cerchiara e di Oriolo. A testimoniare la presenza di importanti casate nobiliari fin dal Medioevo e poi in epoca moderna sono i castelli giunti fino a noi in discreto stato di conservazione: Rocca Imperiale di epoca sveva, Roseto Capo Spulico di epoche normanna e sveva, Oriolo Calabro (XIII-XV secolo), Montegiordano (fortezza XVII secolo), Amendolara (palazzo-fortezza XVIII secolo in origine convento domenicano della fine del XV secolo), Piana di Cerchiara (palazzo-residenza di campagna dei Pignatelli del XVII secolo) e Villapiana (palazzo feudale, XVI secolo); mentre in altri comuni vi sono dei ruderi di Castelli o fortezze (Francavilla, XVI secolo; Villapiana, XIV-XVI secolo; Cerchiara, XIII secolo; Nocara, di probabile epoca longobarda; Roseto Capo Spulico, tracce di una cinta muraria a protezione dell’abitato risalente al XIII-XIV secolo; Trebisacce, il “Bastione” del XVI secolo (fortificazione che cingeva la parte alta dell’abitato con accesso da quattro porte denominate “Annunziata”, “S. Leonardo”, “S. Martino” e “S. Antonio”).

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Il castello di Oriolo
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Il centro storico di Trebisacce
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Panorama di Montegiordano

Significativa è anche la presenza delle torri costiere risalenti per lo più tra il XV e il XVI secolo: dalla torre a pianta quadrangolare di Rocca Imperia Marina a quelle a pianta circolare di “Torre Capo Spulico” o “Torre Spaccata” al confine tra Roseto e Amendolara, di Albidona, del “Saraceno” di Trebisacce e di “Cerchiara” di Villapiana. Queste fortificazioni ci parlano delle incursioni dei pirati saraceni che vessarono, in particolar modo per tre secoli (dal XV al XVII), le popolazioni locali costringendole a ritirarsi nell’entroterra, come è accaduto per gli abitanti di “Piana delle Rose”, l’odierna Montegiordano Marina, che dopo ripetuti saccheggi e violenze dovettero riparare, intorno al 1645, sulla collina dove oggi sorge l’abitato di Montegiordano centro, un tempo feudo dei marchesi Pignone del Carretto.

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La torre a pianta quadrangolare
di Rocca Imperiale Marina
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La torre spaccata a pianta circolare
di Amendolara a picco sul mare
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La torre saracena a pianta circolare di Villapiana Lido

Un altro elemento da ricordare se si vuole ripercorrere, seppur per sommi capi, la storia dell’Alto Ionio, è l’arrivo dei profughi albanesi anche in questa zona dello Ionio in seguito all’invasione dell’Impero turco della regione Balcanica. Gli albanesi diedero vita nella seconda metà del XV secolo a delle vere e proprie comunità: gli odierni comuni di Castroregio e Plataci, che ancora oggi conservano, oltre alla lingua, usi e costumi albanesi, contribuendo a dare un’ulteriore nota di originalità all’ Alto Ionio. La stessa religione cattolica è di rito greco e non latino, le cui comunità parrocchiali fanno parte dell’Eparchia di Lungro e non della Diocesi di Cassano Allo Ionio.
Ritornando al feudalesimo, piaga e flagello sociale di tutto il Meridione, non fu domato neppure con l’avvento dei Borbone, nel Regno di Napoli, nella prima metà del XVIII secolo fino alla nascita del Regno d’Italia. Vani furono anche i tentativi dei Savoia di rilancio dell’economia e della cultura alfine di avviare un concreto sviluppo sociale di una delle zone più depresse ed arretrate del Sud.
Nel periodo risorgimentale e post-unitario il feudalesimo perdurò grazie anche al fenomeno del brigantaggio. Un pesantissimo retaggio, giunto fin quasi ai nostri giorni, che provocò tanta miseria materiale e intellettuale testimoniata anche dall’elevato numero di analfabeti (fino al secondo dopoguerra) e dalla piaga dell’emigrazione protrattasi per un secolo.
Chi contribuì non poco ad abbattere questo retaggio attraverso l’avvio di opere primarie di pubblica utilità e nuove politiche sociali, fu - tra gli uomini politici calabresi più sensibili ai ceti meno abbienti - il montegiordanese Giorgio Liguori.