Il suggestivo panorama di Rocca Imperiale, riprodotto all'Italia in miniatura di Rimini |
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L'Alto Ionio calabrese in breve
3. Cenni
storici |
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Meno
fortunata fu la colonizzazione romana, che con essa iniziò lo sfruttamento
selvaggio dei boschi del Pollino e della Sila, compromettendo l’equilibrio
tra terra e acqua. Vaste zone di terreno si trasformarono in acquitrini
anche a causa dello straripamento delle “fiumare”, i cui
letti si alzarono a causa dei detriti. Si iniziò a diffondere la malaria
con la zanzara anofele, che trovò il suo habitat nelle zone paludose;
una malattia che non si riuscì a debellare per secoli facendo migliaia
di vittime. Le popolazioni furono costrette ad abbandonare le campagne
e a rifugiarsi nelle villae romane, che erano dei grandi insediamenti
rurali completamente autosufficienti, ubicati lungo le principali vie
di comunicazione. Numerosi reperti archeologici di queste villae sono
stati rinvenuti lungo l’antica via consolare Traianea, nei pressi
di Amendolara, che in epoca romana rappresentava la “Statio ad
Vicesinum” (la stazione di riposo e di posta della via consolare)
e ancora lungo la costa di Montegiordano, in contrada “Menzinaro”,
dove nel 1980 fu scoperto un grande edificio a corte quadrata databile
al 350-280 a.C. Con molta probabilità si tratta di una fattoria lucana
ben organizzata con un’economia agricola e pastorale, che, stando
ai ritrovamenti archeologici, doveva svolgere attività di filatura e
tessitura della lana. Sempre dai reperti sembra che questo insediamento
sia stato abbandonato all’improvviso nell’anno 279 a.C.,
perché venne a trovarsi sulla direttrice di marcia dell’esercito
romano che si scontrò nella vicina Eraclea, l’odierna Policoro,
in provincia di Matera, con l’esercito di Pirro, re dell’Epiro
ed alleato dei lucani. Sempre nel territorio di Montegiordano alcuni
studi avanzati, ma non ancora del tutto confermati, fanno presupporre
che il filosofo e sommo matematico greco Pitagora (570-490 a.C.) vi
abbia trovato la sua ultima dimora. |
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Con
la fine della dominazione sveva e l’arrivo degli Angioini e poi
degli Aragonesi, le condizioni sociali ed economiche delle popolazioni
dell’Alto Ionio, come quelle di tutto il Meridione, peggiorarono
nuovamente, soprattutto con il ritorno del sistema feudale, i cui baroni
divennero molto potenti riducendo sempre più in miseria le popolazioni.
I soprusi dei feudatari vennero nuovamente limitati con l’avvento della Monarchia spagnola (secoli XVI-XVIII), che con il marchese e grande condottiero Pedro Toledo (1484-1553), nominato viceré di Napoli nel 1532 dall’imperatore Carlo V, furono adottate efficaci misure contro la prepotenza baronale. Se nella prima metà del XVI secolo i baroni furono riportati al «rango di sudditi della Corona», successivamente, proprio per questo i nobili, soggiornando per lungo tempo a Napoli, «all’ombra della Corte», si allontanarono dalle loro terre e le privarono di ogni riferimento a una vita civile costituita dalla dimora signorile, continuando ad imporre nuove tasse ed un’amministrazione della giustizia fondata sugli abusi. Il venir meno dei commerci e, quindi, anche delle piccole attività artigianali, portarono ad un nuovo impoverimento, a quella stagnazione dell’economia i cui effetti si sono protratti per tutto il XVII secolo e parte del XVIII. La più importante famiglia aristocratica presente nell’Alto Ionio durante il periodo della Monarchia spagnola ed oltre fu quella dei principi Pignatelli. Tra le figure più insigne della famiglia (dal XV secolo) quella di Antonio, asceso al soglio pontificio col nome di Papa Innocenzo XII. Nel Quattrocento la famiglia dei Pignatelli si divise in due linee: l’una, proveniente da Stefano; l’altra, discendente da Palamede, che ha originato quattro rami: principi Aragona Pignatelli Cortes; principi Pignatelli di Strongoli; principi Pignatelli Aragona linea Fuentes; principi Pignatelli di Cerchiara. Questi ultimi vissero per molto tempo nel comune dell’Alto Ionio, particolarmente devoti alla Madonna del santuario delle “Armi”, dove vi sono vistose tracce della loro casata. Altra famiglia aristocratica che ha segnato la storia di alcuni paesi dell’Alto Ionio, tra i quali Montegiordano e Alessandria del Carretto, fu quella dei marchesi Pignone del Carretto, signori del vasto feudo di Oriolo dalla metà del XVI secolo alla fine del XIX. I feudi principali dell’Alto Ionio erano quelli di Cerchiara e di Oriolo. A testimoniare la presenza di importanti casate nobiliari fin dal Medioevo e poi in epoca moderna sono i castelli giunti fino a noi in discreto stato di conservazione: Rocca Imperiale di epoca sveva, Roseto Capo Spulico di epoche normanna e sveva, Oriolo Calabro (XIII-XV secolo), Montegiordano (fortezza XVII secolo), Amendolara (palazzo-fortezza XVIII secolo in origine convento domenicano della fine del XV secolo), Piana di Cerchiara (palazzo-residenza di campagna dei Pignatelli del XVII secolo) e Villapiana (palazzo feudale, XVI secolo); mentre in altri comuni vi sono dei ruderi di Castelli o fortezze (Francavilla, XVI secolo; Villapiana, XIV-XVI secolo; Cerchiara, XIII secolo; Nocara, di probabile epoca longobarda; Roseto Capo Spulico, tracce di una cinta muraria a protezione dell’abitato risalente al XIII-XIV secolo; Trebisacce, il “Bastione” del XVI secolo (fortificazione che cingeva la parte alta dell’abitato con accesso da quattro porte denominate “Annunziata”, “S. Leonardo”, “S. Martino” e “S. Antonio”). |
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Significativa è anche la presenza delle torri costiere risalenti per lo più tra il XV e il XVI secolo: dalla torre a pianta quadrangolare di Rocca Imperia Marina a quelle a pianta circolare di “Torre Capo Spulico” o “Torre Spaccata” al confine tra Roseto e Amendolara, di Albidona, del “Saraceno” di Trebisacce e di “Cerchiara” di Villapiana. Queste fortificazioni ci parlano delle incursioni dei pirati saraceni che vessarono, in particolar modo per tre secoli (dal XV al XVII), le popolazioni locali costringendole a ritirarsi nell’entroterra, come è accaduto per gli abitanti di “Piana delle Rose”, l’odierna Montegiordano Marina, che dopo ripetuti saccheggi e violenze dovettero riparare, intorno al 1645, sulla collina dove oggi sorge l’abitato di Montegiordano centro, un tempo feudo dei marchesi Pignone del Carretto. | ||||||
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Un altro elemento da ricordare se si vuole ripercorrere, seppur per sommi
capi, la storia dell’Alto Ionio, è l’arrivo dei profughi albanesi
anche in questa zona dello Ionio in seguito all’invasione dell’Impero
turco della regione Balcanica. Gli albanesi diedero vita nella seconda
metà del XV secolo a delle vere e proprie comunità: gli odierni comuni
di Castroregio e Plataci, che ancora oggi conservano, oltre alla lingua,
usi e costumi albanesi, contribuendo a dare un’ulteriore nota di
originalità all’ Alto Ionio. La stessa religione cattolica è di
rito greco e non latino, le cui comunità parrocchiali fanno parte dell’Eparchia
di Lungro e non della Diocesi di Cassano Allo Ionio. Ritornando al feudalesimo, piaga e flagello sociale di tutto il Meridione, non fu domato neppure con l’avvento dei Borbone, nel Regno di Napoli, nella prima metà del XVIII secolo fino alla nascita del Regno d’Italia. Vani furono anche i tentativi dei Savoia di rilancio dell’economia e della cultura alfine di avviare un concreto sviluppo sociale di una delle zone più depresse ed arretrate del Sud. Nel periodo risorgimentale e post-unitario il feudalesimo perdurò grazie anche al fenomeno del brigantaggio. Un pesantissimo retaggio, giunto fin quasi ai nostri giorni, che provocò tanta miseria materiale e intellettuale testimoniata anche dall’elevato numero di analfabeti (fino al secondo dopoguerra) e dalla piaga dell’emigrazione protrattasi per un secolo. Chi contribuì non poco ad abbattere questo retaggio attraverso l’avvio di opere primarie di pubblica utilità e nuove politiche sociali, fu - tra gli uomini politici calabresi più sensibili ai ceti meno abbienti - il montegiordanese Giorgio Liguori. |